Spleen INTD (English)
rockit.it
Un viaggio in sonorità scure, su armonie dilatate e costruzioni sonore senza tempo.
Spleen è il nuovo lavoro de Il Nero Ti Dona, band napoletana attiva dal 2004.
Si tratta di una raccolta di otto brani cantati in inglese, che ricalcano la versione italiana dell'omologo disco. Lo stile è un alternative rock elegante e ben a fuoco.
Si parte con As you are (Intro) e siamo già dentro l'ambient sonoro dell'album, con un pad, una chitarra elettrica arpeggiata e dei vocalizzi di Pink Floydiana memoria. Il sound si completa con il basso e la batteria che rendono il pezzo compatto e allo stesso tempo etereo.
Dark (Spleen) ha un inizio giocato sul bend di chitarra e una batteria effettata molto ruvida, doppiata da un basso rotondo e profondo. La sonorità di riferimento resta la stessa, una sorta di post Pink Floydish in cui tempi, dinamiche e armonie sono molto dilatate, alla ricerca di un pizzico di psichedelia vecchia scuola.
Meteora (And time goes by) mantiene sonorità dark e progressioni minori, ma la voce si spinge un po' più in alto rispetto al suo registro di riferimento. Le chitarre giocano col volume dell'attacco e rendono il sound liquido.
Anesthetics inizia ancora con un arpeggio di chitarra e forse si potrebbe tentare un cambio di passo che al momento però non c'è. La voce torna nel suo registro di riferimento e forse addirittura più richiusa in sè. Quello che è sicuramente uno stile, riproposto senza evoluzione rischia di diventare ridondante.
Un parziale cambio di scena si ha con Scream out your name (Noir). Cambiano gli accordi, non la solita intro arpeggiata di chitarra. La batteria con il charlie semi aperto offre un'aggressività inedita, ma non basta per non ricadere nel solito schema compositivo.
Memories (Malriposa) inizia con un fade in (prima intro non arpeggiata fin qui). Batteria, chitarra e basso sono inquiete e finalmente acquistano un mordente e una tensione finora mai ascoltate. Anche le due voci, per quanto cantino all'ottava, riescono a dare tridimensionalità e movimento ad una delle canzoni più interessanti del disco.
Who am I? (Melancholia) vede il ritorno dell'arpeggio di chitarra, ma stavolta si aggiunge anche un'acustica strummata ed è ancora e subito P.F. sound. Il suono si schiarisce un po' e si avvicina al pop internazionale, fa pensare a certe ballate dei R.E.M.
Si chiude con Loop (Outro) che inizia con un pad avvolgente e scampanellante Anche la voce è quasi un tappeto che si poggia aderendo alla base. Bisogna aspettare l'ultimo quarto della traccia per sentire uno sviluppo, con una batteria in secondo piano e variazioni di sound con un bel layering di pad.
In conclusione Spleen è un disco con molto carattere, figlio di un background musicale che in qualche modo ha portato ad un modo di pensare i brani molto tipico di certe band, soprattutto inglesi provenienti da un passato più o meno recente. L'ho definito come un post Pink Floyd dando alla band inglese dunque una valenza di apripista, anzi di vero e proprio genere musicale.
Sicuramente si poteva cercare di differenziare un po' di più una traccia dall'altra, sarebbe bastato anche poco, ma abbiamo anche parlato di uno stile che, lo sappiamo bene, si mostra sempre simile a se stesso. Il rischio però è di incappare in un calo della soglia d'attenzione da parte di chi ascolta.
La produzione dell'intero disco è ottima, i suoni sono credibili ed è molto bello il trattamento fatto sulle voci. Un album sicuramente non radio friendly ma non sono più sicuro se sia un difetto o un pregio.
Autore: Francesco Vannini
Spleen
eccellenzemeridionali.it 25/04/2021
‘Il Nero Ti Dona’ presenta il suo nuovo disco ‘Spleen’: l’intervista alla band partenopea
La band sfida la pandemia, le chiusure e la crisi, pur di dar voce al suo talento artistico pubblicando il terzo disco dal titolo "Spleen"
Nasce nel napoletano la band che si distingue immediatamente per i suoni duri e psichedelici, per i testi morbidi e introspettivi che rievocano le poesie di Baudelaire e Montale, stiamo parlando de “Il Nero Ti Dona“. Se pensate che il rock italiano dalle sonorità dark sia andato in pensione, mettetevi comodi perché questo gruppo è la giusta scossa di cui la musica ha bisogno!
Già dal primo disco, quando il gruppo rock alternative rispondeva al nome di “Secred Mood” e poi “Season in Hell”, il talento è evidente: il marchio di fabbrica è la qualità sonora oltre all’immensa profondità dei testi, l’espressione della dicotomia “bene e male” che da sempre attanaglia l’uomo. La formazione definitiva della band nata nel 2004 comprende Maurizio Triunfo (voce e chitarra), Mario Barbarulo (chitarra), Fabrizio Cirillo (batteria), Giuseppe Lanzuise (basso); se in un primo momento le canzoni erano in lingua inglese, nel 2006, per dare maggiore profondità e suggestività al testo e una migliore espressione vocale, viene scelta la lingua italiana.
Dopo il primo EP intitolato “Season1” (del 2004) e la demo “Fra Corpi e Gravità” (2007) nel 2010 arriva il primo album “Studiando il modello terrestre“, ma è nel 2014 che il gruppo si fa notare, con l’album “Aut Aut” fioccano delle ottime recensioni tra cui quella di Rockit “Vengono da Napoli e hanno riscritto un genere: la dark wave“. Dello stesso album il brano “Deja vu” viene incorporato nella compilation che celebra i 20anni di “Catartica” dei Marlene Kuntz, e il brano “Viola” entra nella Top 200 Alternative Italia.
Nel 2020 “Il Nero Ti Dona” sfida la pandemia, le chiusure e la crisi, pur di dar voce al suo talento artistico e pubblica il terzo disco dal titolo “Spleen” con Francesco Giuliano presso l’Hive Music Studio. Qui di seguito l’intervista realizzata da “Eccellenze Meridionali” alla band partenopea, che ci racconta come nasce l’ultimo lavoro.
Dopo sette anni è disponibile online (su Youtube, Amazon e Apple) il vostro terzo disco “Spleen”, come nasce?
“Questo disco chiude in un certo senso un percorso iniziato con l’incisione dei primi due album. Ci sembrava adatto racchiuderlo nel termine ‘Spleen’, poesia inserita da Baudelaire ne ‘I fiori del male ‘, che riprende un tema romantico affrontato anche nei versi di un’opera di Eugenio Montale. La migliore definizione per ‘Spleen’ è: ‘Atteggiamento sentimentale caratterizzato da un umore tetro e malinconico, insoddisfazione e noia, frequentemente rappresentato dagli scrittori romantici francesi e inglesi’.
Il mood del disco è rintracciabile in questo senso di angoscia romantico dal quale c’è la volontà di liberarsi. E’ una riflessione sull’esistenza, sul senso di insofferenza e rimpianto che nasce dall’inesorabilità dello scorrere del tempo. Questo disco riprende alcune sonorità nostalgiche e malinconiche dei primi due dischi. Un po’ di rabbia c’è ancora ma è molto più miscelata con il resto: l’album si mostra meno spigoloso nell’ascolto, con meno salti, e c’è una maggiore coesione tra i testi e le musiche.”
Quale band indipendente, che tipo di modalità avete scelto per pubblicare?
“Ogni nostro disco ha una gestazione abbastanza lunga. Abbiamo iniziato a registrarlo nel 2017, qualche altra idea nasce dal passato ma è stata completamente modificata. C’è un’evoluzione di fondo rispetto alle prime stesure dei brani, anche nell’arrangiamento. Uscito il 19 Febbraio 2021, il disco è stato pubblicato in digitale. Per un po’ di tempo abbiamo cercato diverse etichette indipendenti, ma in termini economici i progetti erano molto impegnativi. Alla fine abbiamo scelto di essere completamente indipendenti e siano usciti grazie ad un distributore digitale indipendente, Distrokid, per cui paghi una quota e puoi pubblicare il tuo lavoro.”
Quali sono le vostre influenze musicali?
“Questo disco lo consideriamo un lavoro più maturo rispetto ai precedenti. Nel primo album ‘Studiando il modello terrestre’, le nostre influenze sono rintracciabili nei Marlene Kuntz e negli Afterhours, band italiane a cui i critici ci hanno spesso assimilato. Già ‘Aut Aut’, è un mix d’influenze quasi ‘stoner’, mentre in ‘Spleen’ ci siamo discostati da queste componenti, guardando a sonorità di alcuni gruppi rock internazionali come i Radiohead e i Pink Floyd. Anche per questa ragione in estate proveremo ad incidere nuovamente tutto il disco in lingua inglese.”
Parliamo delle tracce di “Spleen”. Qual è il brano più rappresentativo dell’album?
“Il primo brano è senza dubbio ‘Meteora’, seguito da ‘Spleen’: sono due pezzi che ci sembrano più rappresentativi del disco. Nonostante quest’album rispetto ai precedenti si presenta più delicato nei suoni e nelle atmosfere, ci classifichiamo comunque un gruppo di matrice rock alternative con diverse influenze che spaziano dal cantautorato alla new wave. In ‘Spleen’, come nei precedenti album, trattiamo il tema dell’amore, ma a differenza dei primi dischi abbiamo deciso di trattarlo in maniera positiva. Qui la visione dell’amore non è intesa come ‘patologia’ o ‘tormento’, ma prevale un senso di ‘accettazione’, soprattutto la volontà di non sottrarsi ai sentimenti.”
Cosa significa pubblicare un disco in piena pandemia?
“Sicuramente non gioca a favore della pubblicità del disco. Il fatto di non poter suonare live nei locali rende tutto più complicato, soprattutto perché in questa situazione non c’è alcun modo di presentalo davanti a un pubblico. Ma era arrivato il momento di pubblicare, anche perché era trascorso troppo tempo dall’incisione del nostro ultimo album. Riteniamo che questi tempi in cui siamo costretti a trascorrere molto tempo in casa rappresentino una buona occasione per immergersi nella musica in maniera più profonda, meno frenetica. Pubblicare in piena pandemia può essere un invito alla riflessione. Così abbiamo scelto di registrare con Francesco Giuliano presso l’Hive Music Studio, una scuola di musica di Terzigno, dotata di uno studio di registrazione. Siamo molto soddisfatti del lavoro realizzato con lui, lo consideriamo un grande professionista in questo campo.”
https://www.rockit.it/recensione/52440/ilnerotidona-spleen
tredici brani dall'animo malinconico, un repertorio di atmosfere dark condensate in uno stile profondo e lacrimoso.
Spleen è il titolo del terzo disco in studio de Il Nero Ti Dona, rock band napoletana nata nel 2004 da un'idea di Mario Barbarulo, Fabrizio Cirillo e Maurizio Triunfo. Questo nuovo lavoro vede per la prima volta la presenza al basso di Giuseppe Lanzuise, dopo l'abbandono di Andrea Belardo nel 2017. In uscita per DistroKid, il disco si compone di tredici brani che trasmettono uno stato d'animo tetro e malinconico, in linea con la scelta del titolo.
La band campana si muove attraverso un sound che richiama in parte la tradizione del nostro rock alternativo, ma soprattutto sfoggia un repertorio di atmosfere vagamente dark che danno un'impronta ben definita alla loro proposta musicale e concettuale. Basti pensare all'incedere lento e malinconico di brani come Spleen e Malriposa, in grado di guardare ai Marlene Kuntz con l'approccio stilistico di band come Clan Of Xymox. Non c'è niente di male se in Meteora ci sentite qualcosa dei Radiohead o in Cenere c'è quacosa dei primi Verdena (quelli degli ep): Il Nero Ti Dona pesca da varie parti, ma condensa tutto in un mood estremamente personale e profondo, malinconico e lacrimoso.
L'unico punto debole di questo disco è la durata, eccessiva per un mondo musicale che ormai è sempre più perso nella logica delle playlist e dello skip ossessivo compulsivo. Per i pochi rimasti che sanno ancora ascoltare un disco intero, questo Spleen sarà invece un ottimo appiglio vecchio stile, prova di maturità reale da parte di una band con tanta esperienza alle spalle.
Aut Aut
MusicTracks.com - 11/05/2014
Quattro anni e mezzo dopo Studiando il modello terrestre, torna Il nero ti dona con un nuovo lavoro e una nuova formazione: dopo l’uscita di Francesca Del Gaudio dal gruppo e l’ingresso del nuovo bassista Andrea Belardo, ecco la pubblicazione di Aut aut.
Ed è una pubblicazione di notevole spessore, con svariati elementi al posto giusto e con la conferma del carattere forte e della capacità di gestione dell’oscurita da parte della band.
Si parte con Deja vu, che come il resto del disco si muove all’interno di contrasti molto forti: ora veloce ora lento, ora urlato ora sussurrato, per cantare dei “densi lager digitali” in cui tutti siamo rinchiusi.
Viola abbassa il livello dello scontro ma senza perdere in forza: anche in questo caso la canzone ha più vite diverse, tutte tessute con sapienza. Segue la veloce e incisiva Aria, passaggio bruciante di robusta costituzione.
Senza fine è più moderata nei ritmi ma non nei modi: i bassi insistenti e una chitarra sempre a rischio esplosione rendono il pezzo uno dei più inquietanti del disco.
Dopo l’intermezzo strumentale piano e chitarra Mi salverai (Dolce fine) arriva Inverosimile, che mantiene un’atmosfera piuttosto morbida e quasi sussurrata.
Ma se ci si è abituati alle soffici cupezze di Inverosimile, il tavolo si ribalta in fretta con Inverno, affine all’hard rock per sonorità, potente e veloce nello svolgimento.
A seguire Khaled Saeed, dedicata al ragazzo morto dopo essere stato arrestato dalla polizia egiziana (cose che in un paese civile come il nostro non succederebbero mai): le foto del cadavere sfigurato di Saeed sono state tra i motori della rivolta contro Mubarak. Il pezzo è veloce e pensieroso a un tempo, non si perde in comizi ma va dritto al punto.
Ketamina si iscrive alla vasta pubblicistica riguardante l’abuso dei farmaci, e lo fa con ritmi molto alti e aggressività in primo piano (possono venire in mente i primi Marlene Kuntz).
Si torna alla dolcezza (oscura) con Terminazioni nervose, che si costruisce intorno alla ripetizione di un riff di chitarra molto semplice, ma che dimostra la capacità della band di conservare l’intensità a prescindere dalle sonorità utilizzate.
Con la title track Aut aut si torna a correre e prosegue l’alternanza forte/piano che caratterizza gran parte del disco: qui le idee punk e l’impatto sonoro riportano in parte alle atmosfere CCCP/CSI.
Si chiude sulle morbidezze apparenti di Mare libico, dedicata con pacatezza e buoni giri di basso alle storie dei migranti che ci passano sotto il naso ogni giorno (menzione d’onore per il verso “Com’è profondo il mare/più degli incubi”).
Aut aut si produce in un esercizio scomodo, cioè quello di parlare di attualità, anche se non dalla prima all’ultima traccia, all’interno di un disco rock.
Non che sia un inedito, ovviamente, ma il fatto che lo abbiano tentato altri prima non lo rende più semplice: la formula adottata da Il nero ti dona è più vicina alla descrizione che all’invettiva.
A prescindere comunque dalle storie raccontate, la potenza e la solidità della struttura del disco lo rendono un lavoro di assoluto interesse e meritevole di grande attenzione.
Autore: Fabio Alcini
RockIt - 17/11/2014
https://www.rockit.it/recensione/26730/ilnerotidona-aut-aut
Per partito preso, non leggo mai i comunicati stampa che accompagnano i dischi. O meglio, lo faccio, ma poi me ne scordo l’attimo sucessivo e non ne tengo minimamente conto in sede di recensione. Ciò per dire che cosa? Che molte volte i musicisti, o chi per loro, vorrebbero imboccare parole, indurre suggestioni, evocare atmosfere che, puntuali come un amen in chiesa, non corrispondono mai a ciò che realmente si coglie nell’ascolto. Poverbiale eccezione che conferma la regola, la troviamo nelle poche righe a compendio di questo secondo lavoro per i napoletani Il Nero ti Dona: ”razionale ed irrazionale, etica ed estetica, servilismo e reazione... il tutto sporcato da tinte nere e apocalittiche”. Perfetto, tutto qui.
Perché questo è veramente un disco giocato sulla dicotomia, sul rincorrersi degli opposti ed il loro apparente mai raggiungersi: squarci di luce e lame di buio fitto che si compongono e scompongono in un intreccio vivifico. Per chi, banalmente, ha commesso sin da subito l’errore di formulare l’equazione Napoli=sole+jamm ja, è servito. Qua tutto evoca desolazione, nichilismo e spleen esistenziale, a cominciare dall’episodio di apertura, “Déjà Vu” (“Tornando a casa mi sono perso tra facce vuote, senza posa e senza aspetto. Ma Cristo Santo, ho male al petto, le mani vuote, vuoto il gusto, vuoto il senso"), per continuare con “Aria” (“Privati ormai di tutti i sensi, ogni istante fugge chissà dove a rincorrere nudo se stesso, a far terra bruciata ovunque”). Certo che la lezione di vere istituzioni del rock (più o meno) mainstream italiano (Marlene Kuntz e Teatro degli Orrori, su tutti) ha prodotto il suo effetto e ciò risulta piuttosto lampante scorrendo le dodici tracce che compongono “Aut-Aut”.
Risulta evidente a tal punto, dicevamo, che in certi frangenti si fatica a discernere quanto di assimilato - dalle band succitate - ed elaborato in maniera personale e quanto di “preso a prestito” tout court ci sia, in quelle trame sonore. Altro discorso sul versante testi, dove si nota un egregio lavoro di cesello riguardante sia la metrica che le tematiche affrontate (l’elegìa dedicata a Khaled Said, ventottenne egiziano ucciso arbitrariamente dalla polizia al sorgere delle primavere arabe, o “Ketamina”). Un disco che, tra alti e bassi, esplica in modo chiaro e definitivo che Il Nero ti Dona ha delle buone frecce al proprio arco, tutto sta a vedere quando deciderà di colpire: con il buio o con la luce?
Autore: Andrea Terenzi
Ritrattidinote.it - Novembre 2014
“Aut Aut” della rock band campana Il Nero ti dona è un album che si presta subito ad un ascolto plurimo, di facile fruizione e pronto ad offrire suggestioni tanto vicine quanto contrastanti, il tutto nell’arco di 12 tracce. Maurizio Triunfo (Voce, chitarra, testi), Mario Barbarulo (Chitarra), Fabrizio Cirillo (Batteria), Andrea Belardo (Basso) immergono i propri strumenti in atmosfere dark e rarefatte traendo spunti, parole e ritmiche incentrate su emozioni tanto forti quanto sfuggenti. Echi e riverberi di chitarra sono il plus attraverso cui la band lascia fluire il dolore e la disperazione odierna attraverso le proprie note. Prodotto per la Diavoletto Netlabel “Aut-Aut” rappresenta, dunque, un album principalmente intimista: le facce vuote della psichedelica “Deja vu”, le pozzanghere nostalgiche di “Aria”, la corsa immobile di “Senza fine” e poi, ancora, lo strumentalismo lirico di “Intro (Dolce fine), si alternano alle pose e alle parole di “Inverosimile” alle suadenti ed ipnotiche note di “Terminazioni nervose” ma soprattutto alla definizione della collera in formula didascalica della title track “Aut Aut”: veloce, ritmica, imponente così, come lo stesso suono de Il Nero ti dona, una realtà musicale da tenere sott’occhio.
Autore: Raffaella Sbrescia
Rockgarage.it - 15/12/2014
“Il nero ti dona” e, in verità, dona un po’ a tutti. Questo nero però è riuscito a produrre altre migliorie estetiche che non hanno a che fare con la nostra fisicità: Aut Aut è il nuovo album de Il Nero ti Dona, un album scuro, pieno e rotondo. Man mano l’ascoltatore viene reso partecipe di racconti cupi, malinconici, invernali e nebbiosi. Una nebbia fredda e vellutata, talmente densa da poter toccare con mano. Le melodie de Il Nero Ti Dona, in Aut Aut, coincidono con la stessa natura della condensa: eteree, sognanti. Una dark wave cavalcata a tratti da spinte improvvise. Dalla nebbia al fango: le rapide e torrenziali piogge invernali abbattono la nebbia e trasformano la terra in fango, in valanghe di fango. Un’onda che da lontano travolge e distrugge, il tutto accompagnato dagli squilli ruvidi della voce, del cantante. Aut Aut descrive il costante ricambio tra quiete e caos legati indissolubilmente dalla malinconia. Blu notte, bordeaux e giallo tramonto. Il Nero ti Dona ha creato un album apparentemente freddo o meglio invernale che costringe l’ascoltatore a riscaldarsi da sé e nel frattempo culla tra tessuti di velluto, pellicce di lupo e un caldo camino. Fuori piove.
Se poi si considera che la band viene da Napoli allora un alone di surrealismo si posa su tutto l’album. Un piccolo particolare da non lasciare in disparte che spiega la potenza dell’idea a prescindere dal luogo di provenienza. A volta il sole non serve a nulla quando sei già caldo dentro.
Autore: Carlo A. Giardina
Distorsioni.net - 21/12/2014
Secondo disco per Il Nero Ti Dona, quartetto campano dedito a sonorità decisamente forti. L’attacco di Deja vu, con un basso martellante e le chitarre distorte, cattura inevitabilmente l’ascoltatore: poi il brano evolve imprevedibilmente in un blues lisergico scandito da un basso distorto. La voce di Maurizio Triunfo, dal timbro leggermente nasale, e il suo modo di porgere il testo, ricordano un poco Pier Paolo Capovilla, ma non è un male, anzi, voce e suoni si abbinano molto bene. In Viola abbiamo atmosfere più tipicamente post punk, con uso di chitarre arpeggiate, ma anche in questo caso la canzone si sviluppa in maniera complessa, pur nell’arco di soli cinque minuti, con cambi di ritmo e di arrangiamento. Il contenuto del disco è molto eclettico, spazia dalla ballata al brano tiratissimo, quasi hardcore, come Inverno. C’è anche la composizione come Inverosimile, il cui incipit è affidato, invece che a una chitarra ipercompressa o a un basso incalzante, a un raffinato pianoforte classico, presto affiancato dalla strumentazione tipica rock.
Questi continui cambiamenti possono risultare gradevoli per l’ascoltatore come spiazzarlo, possibile che il gruppo preferisca la seconda ipotesi, visto che intitola il disco “Aut aut”, come ad intimare un prendere o lasciare. Il Nero Ti Dona puntano forte anche sui testi. Come dicono il nome del gruppo, orientato a una lettura ironica del gothic/dark style, e il titolo del disco, che cita apertamente Kierkegaard, una visione del mondo aspra e sarcastica domina le parole che accompagnano i suoni cupi e distorti. Si insiste su volti vuoti, facce tutte uguali, magari stordite dalla droga (vedi Ketamina). Forse il tutto è un po’ prevedibile, visto anche lo stato d’animo depresso che permea quasi tutti i dischi italiani che abbiamo ascoltato quest’anno (ma come dargli torto?). Si potrebbe obiettare che bisognerebbe anche indicare una via di uscita: possono indicarla in maniera poetica testi come Khaleed Saeed e Mare libico, dedicati alle tragedie dei paesi vicini a noi, ma in fondo non è compito degli artisti cambiare il mondo, altrimenti Bob Dylan sarebbe presidente degli Stati Uniti e Luigi Tenco senatore a vita. Un disco piacevole ma ancora acerbo. Un maggiore distacco dai modelli ispiratori gioverà a Il Nero Ti Dona, gruppo che sul piano tecnico e compositivo mostra di saper dominare bene la materia rock.
Autore: Alfredo Sgarlato
Studiando il Modello Terrestre
Freak out magazine - 14/09/2010
Inizia pacato, un buon arpeggio su tappeto di basso coerente e battiti incastonati, questo “Studiando il modello terrestro”. Primo impatto offerto da Aprile, tinte fosche a smalto, naturalmente nero, che dona e dona parecchio.
Davvero interessante il giro di basso che segue, senza lasciare neanche un secondo per prendere fiato, il resto dei suoni.
Degna di nota Il modello terrestre, quinto brano dell’album, che unisce un testo ben strutturato ad un’ottima esecuzione dello stesso, situazione in cui la voce diMaurizio Triunfo riesce ad esprimersi al meglio, elevandosi di una spanna rispetto alle altre tracce.
Davvero bella e sognante Lembi di pelle, quasi instrumental: i suoni sono perfettamente omogenei, sospinti lievemente da una chitarra crunch che supporta in maniera precisa e costante l’ottima scelta degli effetti al synth di Mario Barbarulo.
Un buon mix tra rock (abbastanza) contemporaneo di provenienza tipicamente italiana, una personalissima reinterpretazione dei generi non dimenticando di strizzare un paio di volte l’occhio alla grande scuola by Marlene Kuntz & Afterhours.
Paradossalmente però, le sonorità dell’intero album non si allontanano eccessivamente tra loro di brano in brano, riuscendo altresì a condensarsi in un sound che ha molto (ma non tutto) di originale.
Il risultato ha di buono la grande componente di suoni creati da zero senza alcuno spunto evidente ma, purtroppo, d’altro canto il discorso complessivo usa spesso le stesse parole, ripiegandosi a volte su sé stesso ricreando un’atmosfera che, seppur definita, sostiene principalmente gli stessi argomenti utilizzando le stesse, metodiche, figure retoriche.
Nonostante ciò, c’è da dire, Studiando il modello terrestre resta un buon album, tipico delle prime uscite, che riesce ad esprimere le intenzioni e le capacità della band ma che ha necessariamente bisogno della classica (e naturale) levigata dovuta all’esperienza.
Autore: A. Alfredo Capuano
Heart of glass - 14/10/2010
E’ qualcosa di soggettivo. Pur tuttavia risulta innegabile la seguente, profetica constatazione: nell’era della comunicazione facile, del taglio delle distanze, l’incomunicabilità tra le persone diventa prioritaria. Demagogia da politicanti, forse. Eppure, c’è abbastanza rabbia lucida per riempire un pozzo di catrame: Il Nero ti Dona eredità dalla personale esperienza un bagaglio di lungimiranza ed intelligenza che va oltre i soliti clichè da “italietta” populista.
La verità non è un bene supremo, specialmente oggi, nel quale troppe lingue invocano la loro versione da autoparlanti mobili che divampano su telegiornali d’intrattenimento. In questo funambolico e furente esordio, Studiando il Modello Terrestre, il quartetto che compone Il Nero ti Dona, lievita gentilmente con la propria astronave e si pone ad un livello di osservatore scrupoloso ed emotivamente non coinvolto: l’uomo è sotto esame, ne va della sua salvezza?!
L’amore, la fiducia, i vincoli della realtà, la vita senza rime barocche, sono i temi che si slacciano da un tessuto sonoro compatto e vibrante. Difficile chiamarlo rock e sperare che questo si volti e ci saluti, piuttosto una danza spettrale suonata con energia da chitarre piene di lividi, da tambureggianti ritmi di batteria e di basso e talvolta dalla vacua nostalgia di qualche tastiera scippata all’underground più vivo.
Non si tratta di alienazione punk, di anarchia emotiva né di disfattismo nichilista: la vita va in analisi da Dio, e si aspetta delle risposte concrete! Testi e musica si amalgamano con la missione di comunicare davvero, di veicolare un messaggio che non sia solo uno spot pubblicitario. Non si canta solo per il gusto di cantare, non si propongono soffici e facili soluzioni, bisogna cercarle dentro i versi sghembi, di un flusso di coscienza che a fatica si trattiene nel sputare il fuoco che sta dentro. Gli stessi intenti già profanati dalle agnostiche parole-veleno di Giorgio Canali, o dall’ostracismo ubriaco di Pierpaolo Capovilla e del suo “Teatro”.
Il solenne intro di Aprile, potrebbe fuorviare qualsiasi navigatore novizio; eppure questa acida ballata sembra parafrasare Roger Waters e il suo “muro” da cui è impossibile comunicare, un “Hey, you” soffocato dalla tosse o dall’asma.. Il Nero ti Dona usa la metafora del “carcere” per esprimere il medesimo concetto: in un risultato finale che cambia tempo e ritmo al passo di un rabbioso garage dal passo spedito. Ne L’impero si assiste alla rottura delle acque, in un salmastro fiume di sangue e devastazione interiore: il vagito che segue non è di quello di un bimbo in fasce, ma è l’urlo dell’uomo che muore e rinasce ad ogni sconfitta della vita ed ad ogni cicatrice.
L’umana inquietudine viene rivoltata come un calzino, Disordine e Lembi di pelle, accelerano piano piano, livello su livello: ascensore infernale, ascensore celestiale, il biglietto prepagato vale per entrambi i viaggi!
Autopsia di un cuore malato d’amore: «ma l’amore cambia posa e dà la schiena, come un sogno che si spera e mai si avvera». Così recita Il modello terrestre, un onesta disamina sui sentimenti e sulla folle confusione che alimenta l’amore nelle sue fasi preliminari: dal materialismo arcano, al possesso carnale, dalla paura di perdere sino all’evidenza della sconfitta.
Alba e tramonto: in Distanze il colore prende sfumature eteree di nostalgia; l’odio a denti stretti ha invece il sopravvento in Il vanto. Soluzioni musicali agli antipodi, dai ritmi quieti la prima, disseminata di trappole affilate la seconda; eppure sono due modi di vedere la stessa vita, come in una stanza piena di specchi ma senza niente da vedere!
Una disanima più attenta spetta a voi! Ogni brano cela un chicco di vita, di verità, quella constatata da questo studiosuper partes, che non inchioda l’uomo all’indifferenza, ma dovrebbe spronarlo a lottare di più. Il Nero ti Dona abbatte tutti i birilli in un colpo solo, se i versi sono lividi, la musica è alcool sulla ferita.
Emotivamente consigliato!
Blog di Eldino - 07/11/2011
Napoli si (ri)conferma uno dei cuori pulsanti dell’underground musicale italiano, che purtroppo però è costretto ancora una volta ad affidarsi alla meritocrazia della Rete per andare oltre le maglie del clientelismo discografico. Questa fantastica band napoletana, dal nome “Il Nero Ti Dona“, non riuscendo a sfociare nei canali discografici tradizionali, ha deciso di rendere il frutto del suo lavoro disponibile per il download gratuito dal proprio sito. E noi non possiamo esimerci dallo scaricarlo e godercelo a pieno.
Le influenze alla guida del carro sono palesi: indie rock e post-rock, ma quest’ultimo in piccole dosi, in modo da essere colto solo dalle orecchie più appassionate. Dà inizio alle danze “Aprile“, un po’ ballad un po’ canzone di protesta; le fa eco “L’impero“, potente, potentissima!; arriva poi il turno de “Il modello terrestre“, a mio avviso il pezzo migliore del disco: chitarre delicate che crescono nel tempo insieme alla voce, vero baricentro del brano. Belli anche “Distanze“, “Pornoteca“, “Il vanto” e “Lembi di pelle” (una traccia molto alla Verdena). Il futuro della musica italiana vorrei che fosse tutto così! Voto: 4.5/5.
Degnidinota/Rockit - 29/12/2011
Certe volte, anzi, è un concetto che va per la maggiore, l’indie music è come un verbo difettivo: puoi coniugarla solo al tempo presente. Il verbo presente di questo sound lo coniughiamo con i profili di MySpace e vari giocattoli associati. ‘Il mondo difficile e il futuro incerto’a dirla con le parole di Tonino Carotone è questa musica che oggi c’è e domani chissà: estati di san martino, line up labili, nomi e conformazioni carsiche che si disperdono negli anni con la conseguente difficoltà di farne un inventario,una pubblicazione, qualcosa di fisso nel tempo.
Eppure qui quelli di Il Nero Li Dona, erano i tempi antesignani, quelli del boom della piattaforma Vitaminic a farli affacciare sulla rete: si chiamavano A Season In Hell, bene o male somigliano ancora a se stessi nella loro ricerca dark wave che è migliorata e continuata. Una perseveranza che, al di là del nuovo battesimo ha condotto gli I.N.T.D. sulla via di un full lenght. Il disco si chiama Studiando Il Modello Terrestre: disco che scopre un chirurgico cantautorato in italiano, spesso cauto e in fase di presa coscienza, ancora in cerca dell’assetto definitivo ma che è già una gran bella scrematura per un lavoro serio. Dark wave in italiano, opzione per nulla scontata.
Atmosfere alla Magritte di un solipsismo esistenziale si traducono in un dark rock che stuzzica il richiamo ai Joy Division, viaggiano con eleganza su un impasto musicale ben inquadrato atmosfere plumbee e fraseggi crepuscolari e trasformisti intinti di pennellate noise al confine con lo screamo che ricordano le tinte più asprigne di un certo timbro alla Manuel Agnelli.
Un sapiente dosaggio di chitarre abrasive, atmosfere laceranti ed esterofile che, tenendo in conto anche il precedente de A Season In Hell è un sound da marchio di fabbrica. Di particolare impatto segnalo Giù In Cortile e Pornoteca, punte di un disco questo Studiando Il Modello Terrestre che è un concept album dalle sonorità compatte sull’apatia e l’annichilimento del mondo contemporaneo.
Un Magritte in musica,dicevamo, che vale la pena di eleggere al rango di musica d’ascolto. Ancora qualche incertezza da superare sul piano del cantato che sta incamerando elementi del tutto innovativi con qualche link ai Verdena e ai Marlene Kuntz per un dark all’italiana, ma il sapore magmatico di un lavoro di qualità c’è tutto.
Da tener d’occhio.
Autore: Chiara Marra